The dead dog beach

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“Ho fotografato il suo ultimo respiro”. Sophie Gamand ci racconta, attraverso un incredibile reportage, la storia di un luogo terribile, in un paese molto lontano da noi: The Dead Dog Beach a Puerto Rico. E la domanda che sorge a tutti osservando i volti di questi cani è la stessa: abbiamo creato cani così deboli e dipendenti da noi che non sono più in grado di vivere senza gli esseri umani?

“La prima volta che mi recai nella famigerata Dead Dog Beach a Puerto Rico, non avevo mai avuto alcuna esperienza con cani randagi. Principalmente il mio lavoro fotografico si svolgeva in studio, realizzando scintillanti e patinati ritratti di cani glamour vestiti da creazioni haute couture. Dead Dog Beach era decisamente qualcosa di lontano dal mio mondo”.

“A Puerto Rico ci sono 250 mila cani randagi (‘satos’ come vengono chiamati in spagnolo), un numero incredibile se si considerano le dimensioni di questa piccola isola. Le persone qui non se ne prendono cura, non li nutrono, non li vaccinano né sterilizzano.  Il numero continua a salire vertiginosamente e nessuna soluzione viene trovata. Per un anno e mezzo ho partecipato come volontaria al Sato Project,che nasce con lo scopo di portare in salvo i cani della Dead Dog Beach, recuperarli, curarli e farli adottare da famiglie americane”.

“The Dead Dog Beach è una discarica a cielo aperto, vicino al mare, conosciuta per la numerosa popolazione di cani randagi che vive lì attorno e teatro di orribili pratiche per mano degli esseri umani che abusano di questi poveri animali nei modi più terribili.

La prima volta mi sono avventurata in questo luogo sotto il sole rovente, con stivali da lavoro e abiti sporchi, insieme a Chrissy Beckles fondatore del progetto. A distanza individuammo subito un corpo per terra; Chrissy divenne inquieto, dopo diversi anni dedicati a recuperare cani sapeva già che spettacolo ci stava aspettando: il cane era completamente emaciato, a malapena riusciva a respirare e rifiutava il cibo. Non avevo mai visto nulla di simile. Ho puntato la mia macchina fotografica e ho scattato, ho immediatamente provato un sentimento di disgusto verso me stessa, come potevo fotografare quell’orrore?  Ma ho continuato a scattare, una volta, e ancora. Non sapevo se andare avanti, oppure posare tutto e dare una mano, il cane doveva essere portato d’emergenza da un veterinario. Poi, ho scattato ancora una volta, e ho immortalato l’ultimo respiro di Angel. Ha guardato dritto dentro l’obiettivo, ha esalato l’ultimo respiro e se n’è andato”.

“Questo è successo più di un anno fa. Da allora sono tornata alla Dead Dog Beach diverse volte. Ho visto come diventano i cani senza gli uomini: sono selvatici e feroci, o terrorizzati. Altri – che hanno probabilmente vissuto per un periodo in casa – seguono le persone e scodinzolando cercano  i loro padroni, o cibo, o semplicemente una carezza. Nonostante tutto. Alcuni sono in uno stato di shock; altri ritrovano la connessione con il loro lato più selvaggio, si organizzano in branchi nella loro lotta alla sopravvivenza”.

“Ho dato vita alla serie Portraits of Satos per condividere i risultati che il Sato Project porta. Tutti i cani di questa mia raccolta sono stati salvati dalle terribili condizioni in cui si trovavano. Il momento in cui fanno ingresso nel mio studio fotografico a New York è un momento speciale, da festeggiare: significa che finalmente sono cani amati, curati, in salute, adottati. Ho raccolto i loro ritratti sotto il nome ‘Dignity’, proprio come la dignità che è stata loro restituita”.

F.B
federica@vanitypets.it

English version

A bond so strong it can be destructive: the other side of a human/dog relationship introduces us to strays, neglected and sick animals. There are dogs that are no longer able to survive without humans. However, some dogs are so badly mistreated by humans, that they are now returning to their savage ancestral roots to allows them to survive, thanks to their instinct.

The photographer, Sophie Gamand, tells us a terrible story through the images of the incredible reportage of The Dead Dog Beach in Puerto Rico. The question that arises in the minds of everyone looking at the gazes of these dogs is the same: have we created dogs so vulnerable and dependent that can no longer survive without human intervention?

“The first time I stepped onto Dead Dog Beach in Puerto Rico, I had no experience photographing stray dogs. I mainly work in the studio, making glossy portraits of glamorous dogs haute couture dressed. Dead Dog Beach was definitely out of my league”.

“There are 250,000 stray dogs (called ‘satos’ in Spanish) in Puerto Rico, a huge number on a tiny island. People don’t spay/neuter, don’t vaccinate nor vet. The stray population keeps on growing and no humane solution has been found. For a year and a half, I followed and volunteered for The Sato Project, which rescues dogs on Dead Dog Beach, brings them back to life and health and then send them to be adopted”.

The Dead Dog Beach is a dumping ground, it is known for its stray dog population, and the abuse that has occurred on the isolated beach. Dogs are dumped here every day.

Wearing work boots and dirty clothes, I ventured under the harsh sun with Chrissy Beckles, founder of dog rescue group The Sato Project. From a distance, we spotted a shape on the ground. Chrissy tensed up. After several years of rescuing dogs from Dead Dog Beach, she is used to finding dead bodies and horribly abused animals. We approached and discovered a small orange dog so emaciated and weak it barely breathed and refused to eat. I had never seen anything like this. Pointing my camera at his face, I felt disgusted with myself for photographing this horror. I photographed over and over. My hand was trembling holding the flash. I did not know whether I should put the camera down and help. And then, as I pressed the trigger one more time, I captured Angel’s last breath. He looked straight into my lens, exhaled and passed away in Chrissy’s arms”.

“This was more than one year ago. Since then, I have returned to Dead Dog Beach multiple times. There I saw how dogs become without human help: some are very frightened or completely feral. Others have lived in homes and follow people around the beach, wagging their tails, looking for their owners, food, or just a gentle hand. Despite all some dogs are in a state of shock. Others, reconnecting with their deep wild nature, organize themselves into packs in their battle for survival”.

“I created the series Portraits of Satos in order to share with the community the results of our work with The Sato Project. All these dogs were rescued and saved from the horrible condition they lived. The moment they stepped in my studio in New York is a special moment of celebration: they are finally loved, safe, healthy, ready for adoption or recently adopted. I call this series “Dignity”, because it is about giving those dogs their dignity back”.