Processo Green Hill: “Essere uccisi per i cani era un lusso”

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Ultima udienza ieri al tribunale di Brescia del processo per maltrattamenti e uccisione di animali a carico di Bernard Gotti e Ghislane Rondot, co-gestori di Green Hill, Roberto Bravi e Renzo Graziosi, rispettivamente direttore e veterinario dell’allevamento chiuso nel Bresciano nel luglio 2012.

Sono stati chiesti dal pubblico ministero, Ambrogio Cassiani, tre anni e sei mesi per il veterinario Graziosi, tre anni per Rondot e due anni per Bravi e Gotti.

Nella requisitoria finale il pm ha precisato come la Legge 116/92, che disciplina la sperimentazione animale, prevede che sia assicurato loro benessere e assistenza. “L’etologia riguarda l’imprinting della specie e l’imprinting non può essere modificato, ribaltato o soppresso, come sostiene la difesa di Green Hill. La norma penale interviene a sanzionare se l’uomo cerca di sopprimerla”.

Contestata anche la completezza di verbali e registri di Green Hill, “per esempio, il registro carico/scarico cani non era conforme, dunque impossibile sapere quanti ne erano presenti e quanti sono stati effettivamente soppressi. Il comportamento dei veterinari Asl che andavano a controllare la struttura era evidentemente doloso. Le visite erano preannunciate e accondiscendenti”.

L’Avvocato Carla Campanaro, per la Lav parte civile nel processo, ha definito quello a Green Hill un processo innovativo, perché è per la legalità nella vivisezione, “non è vero che in vivisezione si può fare tutto. Va rispettata l’etologia animale indipendentemente dalla destinazione finale. A Green Hill essere uccisi era un lusso perché i cani venivano semplicemente lasciati morire”.

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